Scheda 25
La Regalità Divina del Faraone
La monarchia faraonica fu caratterizzata da alcuni tratti originali che contribuirono a consolidarne il potere, facendone un modello per molti stati della regione. Uno degli aspetti più significativi, se non decisivo, in tale ambito, fu la sua incredibile longevità, radicata nel divino.
Principi radicati
Già strutturata all'inizio del III millennio a.C., soltanto a partire dal VI secolo a.C. la regalità faraonica fu sostituita da governi stranieri di diversa natura: la dominazione persiana, la monarchia dei Lagidi e, in ultimo, l'impero romano. Fino ad allora, seppur destabilizzata in più occasioni da fattori interni o da influenze esterne, rinasce regolarmente in forme che variano secondo il contesto geopolitico del momento. Il potere dei faraoni si fondava su due caratteristiche apparentemente contraddittorie ma, in realtà, complementari:
1. una sostanziale necessità di stabilità.
2. Una grande adattabilità.
L'ideologia faraonica è radicata in concetti presenti a partire dall'epoca tinita, che i successivi
esponenti della monarchia egiziana hanno fortemente voluto mantenere inalterati nel corso della storia. Questi principi, insieme al riferimento costante alle origini divine dello stato, portarono gli Egizi a concepire le istituzioni come realtà immutabili, anche se l'evoluzione storica degli avvenimenti declinò il potere in formule sempre nuove, destinate, però, a consolidarne le radici.
Il prestigio che circonda la figura del faraone è funzionale a questa vocazione di stabilità, di eternità, sia dentro sia fuori la terra d'Egitto, dove il modello regale è esportato in Nubia e in quegli stati del Medio Oriente direttamente interessati dall'influenza egizia, come Kerma e Biblo. I successivi conquistatori dell'Egitto riconobbero la specificità della monarchia faraonica, si sforzarono di comprenderla per amministrare meglio, preservarono gli aspetti peculiari, accogliendone addirittura quei tratti destinati maggiormente a rafforzare l'autorità regale.
Le origini divine della regalità egizia
Tutte le versioni del mito dello stato egizio, antiche o recenti, complete o allusive, concordano su un punto: prima dei sovrani mortali, sulla terra regnavano gli dei. Poiché la cosmogonia eliopolitana esercitò in ogni epoca un'influenza senza pari sull'intero paese, la famiglia divina al centro di tale mito fu quella più spesso indicata come depositaria dei valori monarchici. Il dio sole Ra, creatore del mondo, generò Shu e Tefnut, che a loro volta misero al mondo Geb e Nut; questi diedero alla luce quattro figli, che formarono altre due coppie: Iside e Osiride, Nefti e Seth.
Osiride, l'erede al trono, fu assassinato e fatto a pezzi dal fratello Seth. La vedova Iside, però, dopo aver percorso tutto il paese in cerca del corpo dello sposo, riuscì a ricomporlo e a tenerlo in vita abbastanza a lungo affinché i due concepissero un figlio, Horus. Il destino di Osiride, cui toccò in sorte di morire e rinascere, rappresenta il tramite tra la sfera divina e il mondo dei mortali. Horus tramanderà l'eredità paterna dapprima a creature ibride dette "Seguaci di Horus", poi a sovrani mortali. Varie liste regali, dal Papiro di Torino agli Aegyptiaca di Manetone, raccontano l'avvicendarsi sul trono d'Egitto di divinità, spiriti, semidei ed esseri umani.
Horus, divinità celeste al pari di Ra, prototipo di tutti gli dei, è al tempo stesso dio delle origini, signore di Ieraconpoli (uno dei principali nomoi della valle del Nilo) e figlio di Osiride. In seguito a un processo di assimilazione tra queste divinità, tutte raffigurate in forma di falco, Horus è l'unione tra la regalità divina e quella terrena: è questo che indica, fin dai primi regni, il "nome Horus" dei sovrani egizi. Il sincretismo che permea i meccanismi religiosi consente a questi esseri umani di esercitare il potere in qualità di Horus.
La trasmissione dell'autorità attraverso il dio Horus costituisce un motivo iconografico ricorrente nella statuaria reale. È sempre attraverso la stessa metafora che è evocato il decesso di un sovrano: "Questo falco ha preso il volo verso il cielo", mentre, del successore si afferma che salirà "al trono dell'Horus dei viventi".
Rimarcazione divina della regalità
Nell'iconografia e nella letteratura dell'antico Egitto le testimonianze sulla natura sacra della regalità faraonica abbondano in ogni epoca. La qualifica di "Figlio di Ra", attestata per la prima volta durante la IV dinastia e in seguito diffusa largamente, costituisce una delle espressioni più manifeste dell'ascendenza divina. Il sovrano è spesso presentato come discendente delle maggiori divinità del paese (Atum, Ra, Amon) o come erede del trono divino. "È mio padre. Sono suo figlio. Mi ha ordinato di prendere posto sul suo trono, mentre ero nel suo nido. Mi ha generato dal seme del suo desiderio" proclama Tuthmosis II nel raccontare la propria infanzia in un'iscrizione scolpita nel tempio di Karnak.
I diritti di successione del nuovo re sono, inoltre, sanciti dal principio di teogamia: il dio rende visita alla regina e concepisce con lei il futuro erede. Questa dinamica è evocata per la prima volta nel Medio Regno, in uno dei racconti del Papiro Westcar per illustrare le origini della V dinastia. Durante la XVIII dinastia, il principio è ripreso da Hatshepsut, nel suo tempio di Deir el Bahari, per legittimare la sua reggenza e da Amenhotep III nel tempio del ka a Luxor. Il riconoscimento del nuovo sovrano attraverso il dio dinastico Amon nel contesto di processioni oracolari, interviene per la prima volta in occasione della successione di Tuthmosis II, quando la vedova Hatshepsut e il figlio Tuthmosis III rivendicano entrambi l'appoggio del signore di Karnak.
Anche altri mezzi giustificano il carattere divino della monarchia e dei suoi esponenti. Nei Testi delle Piramidi, per esempio, il re si appropria di diverse parti del corpo delle divinità. Si trasforma in Atum, in Horus, in Anubi e, defunto, diventa Osiride, venerato nel suo tempio funerario in forma di statua che lo raffigura nelle vesti del dio dell'Aldilà. Anche da vivo può beneficiare di un culto particolare nel santuario delle maggiori divinità del paese, associando le proprie immagini ai loro culti, ma soltanto sotto il regno di Amenhotep III e di Ramesses II, il sovrano, in adorazione della propria immagine, sarà insignito di un segno tangibile di divinizzazione: le corna di ariete.
Fine