Scheda 2
Ascesa del Re: iconografia ramesside
In Egitto la morte di un faraone era immediatamente seguita dall'ascesa al trono del suo successore. Pur non risolvendo del tutto sul piano pratico le spinose, inevitabili questioni di legittimità, che hanno determinato l'introduzione nell'ideologia reale di varie giustificazioni della natura divina del sovrano (teogamia, predestinazione, designazione oracolare ecc.) quest’immediato avvicendamento istituzionale salvaguardava lo stato da un pericoloso vuoto di potere.
L’intermezzo
Una volta celebrati i funerali e terminata l'inumazione, ovvero circa settanta giorni dopo il giorno del decesso, avevano inizio le cerimonie di incoronazione.
Del lasso di tempo tra l'ascesa al trono e l'incoronazione vera e propria approfittavano gli scribi annalisti per tracciare un bilancio del regno trascorso, in funzione di criteri prestabiliti, mutuati dalla tradizione, come indica Diodoro Siculo “Su tutti loro (i re), i sacerdoti conservavano nei loro libri sacri degli archivi che sin dai tempi antichi erano tramandati ai successori e che riportavano la statura di ciascun sovrano, il carattere, ciò che aveva fatto durante il regno”. Quell'intervallo consentiva, inoltre, di diffondere la notizia in tutto il territorio e di trasmettere ai vari livelli amministrativi i dati essenziali relativi il nuovo sovrano, in particolare gli elementi della sua titolatura ufficiale.
Il paese prendeva così progressivamente coscienza del cambiamento. La grande maggioranza degli Egizi non conosceva del faraone né le particolarità fisiche, né le qualità intellettuali. Al massimo si può ipotizzare, e soltanto relativamente ad alcuni periodi, l'invio da parte del palazzo reale di scribi disegnatori e scultori in tutto il territorio, perché fornissero ai vari atelier provinciali una sorta di modello di riferimento. Pur tenendo in considerazione il divario tra verità storica e rappresentazione ufficiale, si ricordano alcuni ritratti iconografici e letterari di sovrani ramessidi, legati a questa fase particolare dell'ascesa al trono.
Giovani barbuti
Nel Nuovo Regno gran parte dei faraoni salì al potere in giovanissima età.
Fatte salve le imprecisioni cronologiche e le diatribe talvolta complesse riguardanti la durata del regno di ciascuno, si può affermare, ad esempio, che i sovrani della XVIII dinastia al momento dell'incoronazione avevano rispettivamente 15 anni Ahmosi, 25 anni Amenofi I, 20 anni Tuthmosis I, 13 anni Tuthmosis II, 5 anni Tuthmosi III, 33 anni Hatshepsut, 18 anni Amenofi II, 2l anni Thutmosi IV, 10 anni Amenofi III, 22 anni Amenofi IV-Akhenaton, 15 anni Smenkhkara, l0 anni Tutankhamon, ovvero un'età media di 17 anni. È evidente che questo dato storico, sommato al sostrato mitico che fin dalle origini dello stato faraonico considerava il sovrano una sorta di ipostasi terrena del giovane dio Horus protettore del padre Osiride, ha influito profondamente sui canoni dell'iconografia ufficiale, specie nell'epoca ramesside (dinastie XIX-XX), che sappiamo segnata, dopo la complessa assimilazione della vicenda amarniana, dalla prolifica produzione artistica del regno di Amenofi III.
È interessante il caso della bella statua in granito nero di Ramesse II conservata al Museo Egizio di Torino, che raffigura il sovrano con i tratti di un giovane, con la “corona blu” o khepresh sul capo, la collana usekh e lo scettro heqa nella mano destra, secondo il costume del periodo ramesside. Si tratta di una rappresentazione tebana del re al momento dell'ascesa al trono.
La pittura parietale offre evidenti riscontri a questo genere di raffigurazioni, come la scena dell'incoronazione incisa sulla parete ovest della grande sala ipostila di Karnak, in cui il re Sety I, con il khepresh sul capo e gli scettri heqa e nekhekh nella mano destra, appare circondato da Amon-Ra, Hathor e Thot.
Al di là dei capolavori della statuaria reale, la cui esatta provenienza e la cui attribuzione sono spesso problematiche, oltre alle numerose rappresentazioni parietali nelle quali il peso delle convenzioni estetiche è assolutamente percettibile, gli ostraca figurati scoperti in occasione degli scavi del villaggio operaio di Deir el Medina, forniscono alcuni “ritratti” ramessidi che forse costituiscono schizzi di artisti desiderosi di familiarizzare con la fisionomia dei nuovi sovrani. Caratteristiche comuni di questi “ritratti” sono la presenza sul capo del khepresh e la barba incolta, sempre ben raffigurata sulla figura dell’erede designato relativo a questo periodo della storia egizia. E’ da rilevare che la barba incolta descritta esprime la condizione di lutto in cui versa il futuro re, in osservanza al periodo di settanta giorni relativi i funerali del predecessore non ancora trascorsi. Uno degli esempi più belli di tali raffigurazioni è l’ostracon proveniente da Deir el Medina e opera dello scriba Prahotep che raffigura, con molta probabilità, Ramesse II, in cui appaiono, oltre agli elementi visti, anche sette lacrime rosse ad indicare il lutto: condizione davvero unica!
La corona khepresh
Elemento comune di tutti i ritratti d’epoca ramesside è il khepresh, associato sistematicamente alla barba incolta sugli ostraca figurati. Una simile regolarità induce a ipotizzare che una delle funzioni della corona durante le dinastie di quel periodo, se non già durante la XVIII dinastia, era la caratterizzazione iconografica del sovrano al momento dell'ascesa al trono, in procinto di impegnarsi nelle cerimonie ufficiali dell'incoronazione.
Un testo risalente a Horemheb, il cui regno segna per molti aspetti l'apertura dell’era ramesside, conferma quest’interpretazione. Si tratta dell’Iscrizione dell'incoronazione incisa sul retro del gruppo scultoreo di Horemheb e Mutnedjmet, oggi conservato al Museo Egizio di Torino. Commentando l'arrivo a Tebe del corteo regale partito dal santuario di Horus a Hutnesut, capitale del diciottesimo nomo dell'Alto Egitto, e diretto al tempio di Luxor, gli dei dichiarano “Vedete, Amon è venuto al Palazzo con suo figlio (Horemheb) davanti a se, per porgli le sue corone sul capo”: il segno corrispondente al sostantivo plurale “corone” è proprio khepresh, ovvero l'unica corona menzionata in occasione dell'ascesa al trono (Bernard Mathieu).
Fine